Erika Lust: faccio film porno e femministi

"Mettete una donna alla macchina da presa e vedrete che le due cose non sono incompatibili".

Si, ma qual è la differenza? Quando nacque il progetto "le ragazze del porno" i maschi non capivano. Volete girare corti pornografici al femminile, d'accordo, ma qual è la differenza col porno tradizionale? Piccola pausa... comunque posso partecipare? la sola espressione "pornografia femminile" provoca scetticismo ed eccitazione. Si pensa che quello del porno sia un linguaggio codificato e immutabile, perché senza quei passaggi obbligati non serve, non funziona. E le donne non potrebbero che renderlo più romantico e meno zozzo - grandissimo equivoco, basta guardare uno qualsiasi dei film diretti da Belladonna.

Quindi esiste un porno femminile, e come lo si riconosce? la questione è mal posta. Direi piuttosto che esiste da una parte un porno tradizionale legato all'industria, alle star come Rocco Siffredi o Moana Pozzi - dall'altra un porno più moderno, definito "alternativo", o "indie", oppure "post-porno". E al quale le donne partecipano in maniera molto più attiva, in tutti i ruoli.

Se ne comincia a parlare nel 1972, quando escono Gola Profonda e Behind the Green Door. Del primo sappiamo quasi tutto, l'altro, con la regia dei fratelli Mitchell, protagonista Marilyn Chambers, è la storia dell'iniziazione sessuale di una fanciulla. Che tra decine di variazioni si accoppia pure con un nero. Attenzione: si tratta della prima scena di sesso interraziale non simulata del cinema americano. I due film furono proiettati nelle sale, come prodotti mainstream, e incassarono decine di milioni di dollari. L'orgasmo femminile si fece protagonista. La seconda rivoluzione è estetica. Cambia l’immagine della donna, più magra e meno tettuta e cambia la scena: compaiono gli hippy e il punk e il dark. E poi il movimento LGBT e Queer, ma soprattutto arriva internet. Il porno tradizionale va in crisi, l'industria crolla di fronte all’offerta continua, capillare e gratuita della rete, mentre l’Altporn decolla.

Nel 1992 Annie Sprinkle (attrice porno, prostituta, editore di riviste pornografiche, sex educator, animatrice di seminari sulla sessualità) produce The Sluts and Goddesses Video Workshop — or How To Be a Sex Goddess in 101 Easy Step, una specie di docu-film-performance su sesso e pornografia.

Qualche anno dopo Lars Von Trìer fonda PuzzyPower, casa di produzione per film porno diretti da donne. L’inevitabile manifesto dice si al piacere femminile, no alla violenza sulla donne (se non esplicitata come una fantasia femminile), no ai primi piani eccessivi sui genitali e no alla fellatio (machista e coercitiva). Nel 2009 escono i Dirty Diaries di Mia Engberg, finanziati dal governo svedese.

E infine Erika Lust, la più soft, che ha scritto di sé: "Una delle mie prime urgenze è creare un porno che mia figlia possa vedere". Ecco una sua intervista:

Per spiegare in due parole cosa faccio dovrei dire: “Sono una pornografa femminista”. Ma non è semplice usare il termine “femminista” e neppure il termine “pornografa”. Tanto meno associarli. Molto tempo fa, infatti, ci convinsero a pensare che essere femminista equivalesse a essere contro la pornografia. Quello che vorrei dimostrare io con il mio lavoro, invece, è che il porno ha un aspetto assolutamente femminista. E che il problema non è il porno in sé, ma come viene fatto.

Sono una femminista, dunque, ma non temete: non c’è nulla di cui avere paura. Si tratta semplicemente di riconoscere un dato di fatto, ossia che gli uomini e le donne ancora oggi non godono di pari diritti e opportunità. Definendomi femminista dichiaro semplicemente di avere coscienza di questa differenza strutturale e di volermi impegnare perché le cose migliorino. Tutto qua. Molto più difficile spiegare in che senso mi consideri una pornografa. Se per pornografia si intende la rappresentazione esplicita della sessualità, allora non c’è dubbio, sono una pornografa. Le mie opere contengono materiale sessualmente esplicito. Molto esplicito. Però i miei film hanno poco in comune con quelli che normalmente definiamo porno. E questo perché quella del porno è un’industria fortemente maschile, caratterizzata da un’estetica rozza, come rozza è la rappresentazione del desiderio. Inoltre manca totalmente di fantasia e, di conseguenza, riproduce stereotipi. Nel mio caso preferisco dunque non parlare di “film porno” ma di “film erotici” o di “intrattenimento per adulti”. Così facendo però si può correre il rischio di generare altri equivoci. Il fatto che io sia una regista donna e che preferisca usare una terminologia piuttosto soft potrebbe far pensare che anche i miei film siano soft oppure che possano — addirittura — ammantare di romanticismo la sessualità. Insomma, possono dare l’idea che la mia sia semplicemente una versione soft, romantica e femminile del porno maschile, più hard e più diretto. Niente di più sbagliato, anzi, credo proprio che pensare questo significhi ricadere in un altro stereotipo ancora.

È per dimostrare quanto il porno possa avere aspetti molto femministi che perseguo il mio obiettivo principale: aprire il settore alle donne. Mi riferisco ai ruoli di potere: non solo attrici o truccatrici, ma sceneggiatrici, registe, produttrici. Questo è il primo passo, poi cambieranno anche i risultati, cioè le immagini, i film. Non però con l’obiettivo di accostare al porno maschile una versione femminile, ma per completare il porno tradizionale con un ventaglio di rappresentazioni diverse. Il soggetto femminile etero vuole soddisfatto il suo desiderio. È un processo di democratizzazione che porrà anche fine all’esiguità che caratterizza l’offerta per gli uomini etero. Del resto anche agli uomini ormai viene a noia il porno standard, di massa, e non è un segreto che il porno contemporaneo dia delle donne un’immagine molto limitata. Per me si tratta quindi di iniziare a mostrare le donne come soggetti indipendenti, dotati di autodeterminazione rispetto al desiderio. Donne che conducono il gioco, prendono l’iniziativa e si divertono a vivere fino in fondo la propria sessualità. Ovviamente ogni donna si eccita in maniera diversa. Bisogna solo dar loro l’opportunità di esprimersi ed essere ascoltate. E per ottenere questo risultato, vi assicuro, si può fare di meglio che tenere con una mano la videocamera e con l’altra tirarsi giù i pantaloni. Il pubblico è stanco della scopata sportiva, del sesso meccanico in location di terz’ordine, di riprese mediocri su set ridicoli oltre ogni immaginazione. La gente vuole vedere sesso realistico, situazioni che avrebbero potuto accadere anche a loro. Vogliono protagonisti veri, che somiglino al ragazzo della porta accanto o alla ragazza che incontri sempre alla fermata dell’autobus ma a cui non hai mai avuto il coraggio di rivolgere la parola. Per fare questo tipo di cinema serve un grande impegno a livello di sceneggiatura, di casting, di location, di arredamento, abiti, trucco e così via. E, ovviamente, conta anche la trama. Certo, nel porno vogliamo vedere gente che scopa, ma per avere sott’occhio dei genitali basta aprire un libro di biologia, mentre per una sveltina ci sono i video amatoriali di due minuti. Su internet abbondano. Un film porno, invece, deve essere innanzitutto un film nel pieno senso del termine: come si sono conosciuti i protagonisti? come si sono ritrovati a vivere la loro avventura erotica? In quest’ambito tutto è permesso e tutto è possibile. L’unico limite che mi pongo nel rappresentare realisticamente fantasie femminili etero è racchiuso nel concetto “sicuro, sano e consensuale”.

Nel porno mancava esattamente tutto questo. E chi lo avrebbe mai fatto se non avessi provato io stessa? Così girai il mio primo corto, The Good Girl , per conto mio. Lo mostrai anche alla casa di produzione per cui lavoravo ma mi accorsi subito che loro volevano solo appiccicare l’etichetta “porno per donne” ai loro i prodotti per vendere la solita vecchia robaccia a un mercato nuovo. Così, sette anni fa, ho fondato una mia società. Pensavo che non avremmo mai potuto reggere la concorrenza. E invece abbiamo costruito un’attività fiorente. Pensavano che il porno fosse territorio solo dei maschi. Noi invece abbiamo conquistato un nuovo continente. [Traduzione di Emilia Benghi]

[da Repubblica di Elena Stancanelli]